Sono le 13:59 del 9 maggio 1978 quando l’agenzia ANSA diffonde una notizia destinata a cambiare per sempre la storia d’Italia: in via Caetani, nel pieno centro di Roma, viene ritrovato il corpo senza vita di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse dopo 55 giorni di prigionia. Il 9 maggio 2025, esattamente 47 anni dopo, il ricordo di quell’uomo, della sua statura politica e del dramma umano vissuto durante la sua detenzione, viene rievocato con forza e lucidità presso il nostro Collegio. L’occasione è la presentazione del libro L’urlo di Moro. Autenticità e intelligenza politica nelle lettere dalla prigione, firmato dal professor Carlo Gaudio, ordinario di cardiologia alla Sapienza e studioso attento delle dimensioni umane e politiche del grande statista democristiano.
“Più si ci si allontana dagli anni degli eventi, più prevalgono i depistaggi sulla verità” afferma l’autore: per questo la sua analisi si basa unicamente sulle fonti originarie (le lettere di Moro, ma anche numerose testimonianze e documenti), al fine di smentire alcuni dei più radicati luoghi comuni che hanno circondato la vicenda. L’intento del professor Gaudio non è solo quello di restituire dignità storica e umana a Moro, ma anche di mettere in luce la lucidità intellettuale e l’integrità morale di un uomo che, persino nella disperazione della prigionia, non rinunciò mai a ragionare politicamente e a difendere la Repubblica.
Durante la presentazione, Gaudio ha accompagna il pubblico attraverso un percorso di lettura e interpretazione delle lettere scritte da Moro dalla cosiddetta “prigione del popolo”. Lettere in cui il presidente della DC si rivolge ai suoi colleghi di partito, ai familiari, e all’intera classe politica italiana, chiedendo un cambio di rotta rispetto alla “linea della fermezza”. Secondo Gaudio, non si tratta di scritti dettati solo dalla paura o dalla debolezza, come troppo spesso si è voluto credere, ma piuttosto di testimonianze dense di pensiero politico, espressioni di una mente ancora attiva e acuta, in grado di analizzare i rapporti di forza interni e internazionali anche dalla prigionia.
L’autore non si esime dal citare i depistaggi compiuti dai servizi segreti, tra cui il “depistaggio di Gradoli”, quando un’improvvisa quanto inspiegabile soffiata spinse le forze dell’ordine a cercare nel comune di Gradoli, nel Viterbese, invece che nell’appartamento di via Gradoli a Roma, effettivamente utilizzato dalle Brigate Rosse. A questo si aggiunge il falso comunicato n. 7 diffuso dalle Brigate Rosse, in cui si annunciava l’avvenuta esecuzione di Moro con annegamento nel Lago della Duchessa: un’informazione volutamente ingannevole, che contribuì a rallentare le indagini e ad alimentare ulteriormente confusione e smarrimento nell’opinione pubblica e nelle istituzioni.
Il professor Gaudio conclude la sua esposizione affrontando uno degli aspetti più controversi della vicenda: i rapporti tra le Brigate Rosse, alcune figure di spicco della Democrazia Cristiana, e strutture parallele dello Stato. Pur riconoscendo che l’esecuzione materiale del sequestro fu opera delle BR, Gaudio sottolinea come Aldo Moro rappresentasse un elemento scomodo anche per ambienti interni alle istituzioni, tra cui Gladio e la loggia P2. Secondo l’autore, l’azione di questi poteri occulti non si limitò all’indifferenza, ma si concretizzò in strategie di depistaggio e disinformazione, mirate a ostacolare ogni possibilità di salvataggio. Un insieme di forze convergenti, dunque, che contribuirono a isolare Moro e a condannarlo all’esito più tragico, nella consapevolezza che la sua visione politica, fondata sul dialogo tra opposti e sull’apertura al Partito Comunista, minacciava equilibri consolidati a livello nazionale e internazionale.