Lunedì 28 aprile, al “Lamaro Pozzani”, si è tenuto un incontro del ciclo tematico “Dialoghi sull’autonomia differenziata”: ospite Marco Olivetti, professore ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università LUMSA di Roma. L’incontro ha offerto un’analisi storica e giuridica del processo di differenziazione delle autonomie regionali, tema oggi al centro del dibattito politico nazionale.
Al cuore della riflessione proposta da Olivetti vi è la distinzione tra sistemi federali e sistemi regionali. I primi, come quello tedesco o statunitense, si basano su due livelli di governo “completi”, ciascuno dotato di poteri propri, in un assetto di sostanziale parità. I sistemi regionali, invece, condividono alcuni aspetti del federalismo – in particolare, la suddivisione tra livello centrale e locale – ma non ne replicano l’equilibrio: in Italia, ad esempio, convivono regioni ordinarie e a statuto speciale, con una marcata disomogeneità nelle competenze.
La questione della differenziazione è emersa come elemento cruciale nei modelli contemporanei. Nei sistemi federali, l’esercizio delle stesse competenze può avvenire in modo diverso; nei sistemi regionali, invece, le competenze sono spesso diverse per ciascuna regione. Paesi come il Regno Unito e il Portogallo presentano forme di regionalismo incompleto, dove l’autonomia è parziale e il potere centrale rimane predominante. Secondo Olivetti, è importante riconoscere che “la distribuzione delle competenze non è solo un fatto giuridico, ma riflette anche condizioni socio-economiche profondamente diverse tra i territori”.
Nel confronto internazionale, Olivetti ha evidenziato come altri paesi abbiano assetti più stabili: la Germania ha sviluppato un federalismo maturo e coeso, mentre la Francia continua a fondarsi su un forte centralismo. Al contrario, l’esperienza italiana è apparsa più incerta, quasi “pendolare”: se nell’Ottocento si discuteva di federalismo, con l’adozione del modello francese nel 1885 si è imboccata una strada diversa. Dopo la parentesi autoritaria del fascismo, il dibattito sull’autonomia è ripreso nel secondo dopoguerra con l’istituzione delle regioni a statuto speciale, seguita nel 1970 da quella delle regioni ordinarie, rimasta però a lungo inattuata.
Una svolta significativa è arrivata con la riforma del Titolo V della Costituzione, nel 2001, che ha introdotto il terzo comma dell’articolo 116: da qui si è aperta la possibilità per le regioni di ottenere ulteriori competenze, su richiesta, secondo un modello ispirato all’esperienza spagnola. Tuttavia, questa apertura ha generato un dibattito acceso: da un lato, l’esigenza di rispettare le diversità territoriali; dall’altro, il rischio di compromettere il principio di uguaglianza e l’unità del Paese.
A tentare di dare ordine a questo processo è intervenuta la cosiddetta Legge Calderoli, che mira a stabilire un quadro normativo uniforme per l’attuazione dell’autonomia differenziata. Il nodo resta, però, politico e culturale: si tratta di decidere se costruire un sistema fondato sui comuni, come cellule fondamentali della democrazia, sulle regioni, viste come espressione delle identità territoriali, oppure sullo stato centralizzato.
L’incontro si è concluso come di consueto con alcune domande da parte dei collegiali, che hanno evidenziato il forte interesse per un tema tanto tecnico quanto cruciale per il futuro assetto della Repubblica. La riflessione proposta da Olivetti ha offerto strumenti utili per comprendere le radici storiche e le implicazioni politiche di una riforma che interroga direttamente il rapporto tra identità locale e unità nazionale.