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La situazione carceraria in Italia | Franco Corleone: Il primato dei diritti e l’ingiustizia della “detenzione sociale”

26.04.2023

di Francesco Lotito

Il sistema carcerario italiano necessita urgentemente di una riforma. Questo è il centro nevralgico della riflessione condotta dall’on.le Franco Corleone durante il secondo incontro serale del ciclo riguardante la tematica delle carceri al Collegio “Lamaro Pozzani”. L’ospite, già eurodeputato, parlamentare italiano e sottosegretario al Ministero della Giustizia dal 1996 al 2001 con la delega alla giustizia minorile e al carcere, è sempre stato un attento conoscitore del sistema penitenziario italiano e, ad oggi, ricopre la carica di Coordinatore dei Garanti territoriali per i diritti dei detenuti.

La sua lucida analisi inizia con il perfetto inquadramento del carcere come “un’istituzione totale”, concetto diffuso fino al secolo precedente ed ancora oggi ampiamente condiviso da gran parte della società: esso infatti viene percepito come una monadica realtà a sé stante con delle proprie regole, da tenere ossessivamente divisa dalla parte “sana” della società civile. Come il nostro ospite ha avuto modo di sottolineare, invece, la Costituzione cerca di contrastare questa visione, integrando il più possibile la dimensione carceraria nella società. In particolare, l’art. 27 incentiva la rieducazione del condannato, espressione successivamente reinterpretata con un’accezione ulteriormente a favore del detenuto da varie sentenze della Corte Costituzionale, dove si parla di “reinserimento sociale del condannato” (sentt. 78/1989, 282/1989, 276/1990, 125/1992, 173/1997). L’onorevole sostiene questo orientamento, affermando che “nessuno è perduto per sempre” e il sistema carcerario ha come sua primaria funzione la riabilitazione del condannato alla vita nella società, aiutandolo anche nel momento del suo imminente reinserimento nella comunità.

Durante la seconda parte dell’incontro, la riflessione si è spostata in particolare sui diritti dei detenuti. L’ospite ha ricordato come i condannati mantengono i diritti fondamentali e di cittadinanza (questi ultimi a meno che non abbiano compiuto reati che ne comportano la perdita) nonostante la libertà, il diritto fondamentale per eccellenza, sia limitata nel periodo di detenzione. La realtà, però, ci dimostra come i diritti teoricamente esigibili dai detenuti siano in pratica violati e difficilmente rispettati: secondo l’onorevole, infatti, “un diritto non è tale se non è esigibile in concreto”. È proprio la carenza di tutele che spinge il detenuto a manifestare il suo malessere attraverso il proprio corpo, tagliandosi e procurandosi ferite, fino a giungere, nei casi estremi, al suicidio (sono stati 84 i detenuti suicidatisi nel 2022, numero più alto da quando è iniziata la raccolta dati nel 1990). Il corpo – continua l’ospite – è l’unico vero strumento di protesta che rimane a un detenuto, privato di qualsiasi altro mezzo di comunicazione con l’esterno.

Le conclusioni sono dedicate ad una serie di proposte che avrebbero il compito di risanare tutte le lacune precedentemente evidenziate, da raccogliere in una coerente riforma del sistema carcerario. Innanzitutto, bisognerebbe garantire il pieno e completo rispetto dei diritti dei carcerati, in particolare riprendendo il Nuovo Regolamento di esecuzione delle pene emanato nel 2000 (periodo in cui l’onorevole ricopriva la carica di sottosegretario al Ministero della Giustizia) ma mai pienamente attuato in alcune sue disposizioni. Urgente è inoltre la necessità di un intervento legislativo sull’introduzione del diritto all’affettività e alla sessualità per i detenuti, come richiesto dal Consiglio di Stato ai tempi delle sperimentazioni in tal senso nelle carceri, lanciate dall’allora sottosegretario Corleone.

Bisognerebbe poi intervenire sulla questione del sovraffollamento delle carceri: la soluzione avanzata dall’ospite sarebbe l’intervento sulle pene, sfoltendo le fattispecie di reato, riducendo il ricorso del legislatore al diritto penale a seguito di fatti di cronaca di grande clamore nell’opinione pubblica e istituendo, a gestione comunale e senza polizia penitenziaria all’interno, le “case territoriali di reinserimento sociale”, come battezzate dal ddl. Boato del 2005, per i condannati a pene inferiori a un anno.

Tutte queste misure sarebbero volte a eliminare quella che l’on.le Corleone chiama “detenzione sociale”, ovvero l’incarcerazione di soggetti fragili della società a seguito di reati minori (non di sangue e senza vittima), per incapacità di quest’ultima e dello stato di integrarli e rimetterli nelle condizioni di progredire come persone.

In merito al tema del sovraffollamento e al fine di esortare ulteriormente un intervento legislativo adeguato, l’onorevole cita la decisione del 16 luglio 2009 della Corte europea dei diritti dell’uomo, con la quale si evidenzia una violazione da parte dell’Italia dell’art. 3 CEDU, relativo al divieto di trattamenti inumani e degradanti. Qui introduce anche il concetto di “architettura carceraria” e di diritto alla bellezza, che dovrebbero soppiantare la radicata visione dei penitenziari come semplice edilizia carceraria.

La chiusura dell’intervento viene invece dedicata all’ergastolo, pena che l’ospite ritiene eccessiva e da mitigare con le giuste misure. Cita inoltre, a sostegno della sua opinione, due eminenti dichiarazioni sul tema: la prima, di Aldo Moro, secondo cui “l’ergastolo è peggio della pena di morte”, e la seconda, di papa Francesco, secondo cui “l’ergastolo non è la soluzione, è il problema”. Si può quindi facilmente intuire come questo incontro abbia sollecitato non solo le nostre menti nello sforzo di seguire l’ospite nelle finezze e nei risvolti umani della riflessione giuridica ma anche e soprattutto le nostre coscienze, all’impegno nella realizzazione del bene comune, o meglio, nell’ instancabile tensione verso di esso.