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Dall’Afghanistan l’arte della moda verde. La ricerca di Maryam Jami

28.03.2023

Gabriele Scopel

Può uno stato come l’Afghanistan, ancora non del tutto industrializzato, offrire qualcosa per esplorare e promuovere la transizione verde nel campo delle arti, in particolare della moda?

Questa la domanda alla base del progetto di ricerca “The Role of Afghan Diasporic Women in the Green idea of the Arts in Italy, Social Practices and Artistic Intervention for Sustainable Development” della PhD candidate Maryam Jami all’Università Sapienza di Roma.

La dottoranda, dopo aver conseguito un Master in Letteratura Persiana, si sta dedicando, con questa ricerca unica nel suo genere tanto da rendere difficile reperire delle fonti, allo studio dello stretto legame che unisce le artiste afghane, in particolare dell’Accademia di Belle Arti di Herat, e l’industria italiana della moda, la quale sta sperimentando una transizione verde verso metodi più ecologici nella produzione delle collezioni.

Tale industria è infatti fortemente inquinante: dal 2000 al 2014 è aumentata del 60% la produzione degli indumenti e produrre una maglietta di cotone, ad esempio, utilizza tanta acqua quanta basterebbe ad una persona per due anni e mezzo. L’arte afghana, invece, è caratterizzata dall’utilizzo di tecniche “green”, di materiali naturali e pigmenti organici – si pensi ad esempio ai kasher, degli indumenti simili a maglioni, che spesso vengono prodotti utilizzando fibre prodotte da vetro riciclato e scorze di melograno per i coloranti.

Inoltre, delle cinque ondate migratorie che l’Afghanistan ha visto negli ultimi 50 anni, l’ultima (quella iniziata nel 2021 a seguito del ritorno del regime talebano a Kabul) ha completato la trasformazione dell’Italia da paese di passaggio a destinazione finale dei migranti; si pensi che già nel biennio 2015-2016 erano state riconosciute il 97% delle richieste di asilo, rendendo l’Italia il secondo paese in Europa per numero di migranti afghani. Ciò è un’enorme risorsa per il nostro Bel Paese, perché lo scambio culturale con la loro cultura e le loro tecniche artistiche e soprattutto tessili non può che favorire ed accelerare la transizione ecologica che da anni cerchiamo di seguire, oltre che offrire una nuova originalità nei nostri prodotti.

La dottoranda, con l’aiuto del suo supervisore, la professoressa Federica Casalin, laureata del Collegio, si sta infine dedicando al confronto tra i repertori letterari afghano e occidentale, mettendo in evidenza storie che condividono gli stessi valori (come ad esempio la leggenda afghana di Layla e Magnun, che ha molti tratti in comune con la storia di Romeo e Giulietta). Particolare attenzione è data alla figura di Rabia Balkhi, una donna afghana vissuta mille anni fa, innamoratasi e resa schiava dei suoi sentimenti, troppo moderna per i suoi tempi tanto che fu uccisa da suo fratello. È terribile vedere certe storie con la coscienza di oggi, ma ancora di più è terribile pensare come quell’ideale di libertà e amore che la portò a scrivere poesie col suo stesso sangue in punto di morte è ancora, per migliaia di bambine e donne afghane, solo un sogno lontano.