Menu

Quale può essere il ruolo delle Università nelle crisi umanitarie?

Christiano Nella

Questo il tema della serata e la domanda che ha dato l’abbrivio all’intervento della Professoressa Mara Matta, presso il Collegio Universitario “Lamaro pozzani”. Un ulteriore tassello che si inserisce nel quadro ormai sempre più chiaro tracciato nel corso del ciclo di incontri “Immigrazione, diritto d’asilo e accoglienza nel mondo contemporaneo”.

Professoressa associata di studi del Sud Asia presso l’Istituto Italiano di Studi Orientali e coordinatrice del corso di laurea in Global Humanities della Sapienza, Mara Matta ha iniziato il suo intervento sottolineando l’importanza del ruolo che le Università possono giocare nelle crisi umanitarie, soprattutto rispetto alla possibilità di creare corridoi umanitari efficaci, non mancando tuttavia di sottolineare quanto ancora si possa fare per poter implementare l’azione su questo fronte.

Esperta di Sud Asia, l’ospite della serata racconta di aver lavorato molto con Paesi quali Bangladesh e Tibet, spesso in contesti militarizzati in cui ogni tipo di negoziazione è resa difficile. Sottolinea poi come la recente presa di Kabul da parte dei Talebani abbia reso necessari interventi immediati in Afghanistan, al fine di creare corridoi umanitari sicuri ed efficaci e favorire l’inclusione di chi fugge da contesti difficili.

Già nel 2019 – sottolinea Matta – l’università La Sapienza aveva sottoscritto il “Manifesto dell’Università Inclusiva”, iniziativa volta a favorire l’accesso all’istruzione superiore ad un numero sempre maggiore di giovani in fuga da persecuzioni e violenze – numero oggi molto basso, che si aggira intorno al 5% di chi ottiene lo status di rifugiato. Entro il 2030 l’obiettivo è quello di raggiungere un tasso di iscrizione del 15% a programmi di istruzione superiore per i rifugiati in paesi d’accoglienza e paesi terzi anche attraverso l’ampliamento di vie di accesso sicure come UNICORE, altro strumento esistente dal 2019, promosso da 32 atenei italiani che permette a 69 rifugiati di accedere all’istruzione superiore in Italia.

Nonostante gli sforzi, sono ancora molti gli scogli da superare perché si possa davvero parlare di un sistema efficiente di università inclusiva. Spesso, infatti, le procedure burocratiche necessarie finiscono inevitabilmente per scontrarsi con la realtà di contesti emergenziali, dove la prassi ordinaria è una prospettiva poco fungibile.

Che fare allora in situazioni limite? Aleggia senza risposta certa l’interrogativo che sembra trasparire dalle parole della professoressa Matta.

Senza dubbio, però, lei che l’ambiente lo conosce da tempo, non tarda a proporre delle soluzioni concrete per agire sui problemi esistenti: creare un ufficio dedicato in ogni ateneo, istituire commissioni interne per la validazione dei titoli di studio – questione dirimente, più volte sottolineata nel corso della serata – e attrezzarsi per fornire supporto psicologico dedicato, con esperti di etnopsicologia ed etnopsichiatria.

Chiaro allora si configura l’invito a lavorare per migliorare questo complesso sistema di accoglienza, di modo da renderlo sempre più efficace e agile nelle procedure, capace di valutare caso per caso le difficoltà e le necessità delle persone che si trova davanti. Sì, perché sempre di persone si parla, è bene ricordarlo – puntualizza Matta – e la dignità dell’essere umano deve sempre rimanere punto di riferimento centrale e ineludibile in qualunque tipo di azione si decida di intraprendere. Solo così potremo davvero parlare di “Università Inclusiva”, nei fatti e non soltanto nei manifesti.