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La piramide diplomatica tra professionisti e “manovali” della politica estera

Incontri serali

30.10.2018

di Francesca Amoroso

Sono Palma D’Ambrosio, Consigliera di Legazione e Capo della Segreteria della Direzione Generale delle Risorse e dell’Organizzazione del Ministero degli Affari Esteri, e Stefano Soliman, Consigliere di Ambasciata e Capo dell’Ufficio Legislativo del Ministero, a inaugurare il ciclo di incontri serali di quest’anno accademico: due ex borsisti del Collegio che vogliono condividere con gli studenti del “Lamaro-Pozzani” le proprie esperienze professionali nell’ambito della carriera diplomatica.

Spiegano che per accedervi bisogna partecipare ad un concorso particolarmente selettivo, bandito a cadenza annuale: nel caso in cui l’esito sia positivo, al termine di un periodo di prova e di formazione si diventa membri effettivi del corpo diplomatico, caratterizzato da un’organizzazione gerarchica, simile a quella della carriera militare. “Per comprenderla – spiega il dott. Soliman – è sufficiente immaginare una piramide le cui pareti, salendo, diventano progressivamente più ripide: mentre alla base c’è molto spazio, ci sono cioè molte persone con gradi minori, al vertice il numero di diplomatici che rivestono la carica più importante – quella di ambasciatore – si riduce a non più di trenta“.

La carriera diplomatica è caratterizzata da un’età media relativamente bassa, perché, nonostante gli anni necessari per avanzare in questa sorta di cursus honorum, l’età massima per potervi accedere è di soli 35 anni.

I due diplomatici definiscono la propria una categoria di “professionisti e manovali della politica estera”: la loro funzione consiste infatti nel coniugare burocrazia e politica, poiché quest’ultima, oltre a nutrirsi di ideologie, necessita, per poter essere applicata e funzionare, di un apparato tecnico e specialistico che spesso rimane nell’ombra. Ciò non significa che i diplomatici siano burocrati, anzi: numerosi sono i contatti umani che questa professione consente di intrattenere, come l’assistenza a carcerati italiani in terra straniera o il finanziamento di un’operazione medica a chi, fra i connazionali all’estero, non possa permetterselo.

È proprio a questo proposito che i due ospiti ricordano gli anni del Collegio con un velo di nostalgia: un ambiente che ha permesso loro di imparare ad interagire e a convivere con persone diverse, di estendere i propri orizzonti culturali, e di costruire la propria personalità nel periodo senza dubbio più determinante per la loro formazione.