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La sfida del Recovery: “compiere” la democrazia per rigenerare il nostro Paese

28.05.2021

di Antonio Nicoliello

Dopo aver esaminato gli aspetti economici del Recovery Plan nell’incontro con il professor Pietro Reichlin e i suoi aspetti sociali grazie all’intervento della professoressa Elena Granaglia, gli studenti del Lamaro Pozzani hanno potuto, nell’ambito del terzo incontro del ciclo sul “piano nazionale di ripresa e resilienza”, indagare come questa situazione venga vista dalle forze politiche nazionali grazie alla preziosa testimonianza di Mario De Pizzo, giornalista di Rai 1 nonché autore del libro “L’America per noi” in cui indaga le relazioni instauratesi tra Italia e America.

Il Recovery Plan si configura prima di tutto per il nostro Paese come una sfida politica e culturale: per ricevere i fondi stanziati per noi dall’Europa c’è bisogno di soddisfare alcuni prerequisiti che l’Italia al momento non possiede ancora. È necessario, dunque, varare numerose riforme in modo da investire nel modo migliore questi fondi; riforme che purtroppo il governo in questi anni non ha avuto mai il coraggio di fare. I motivi sottesi a questa “codardia” sono molto semplici: instabilità politica e policentrismo anarchico. L’Italia, infatti, sta attraversando fin dal 1982 una crisi nel sistema dei partiti che ormai sempre più antepongono al merito la fedeltà e tutto ciò si traduce in un cambio di governo circa ogni anno e mezzo e in una partecipazione del popolo di tipo oppositivo (molti cittadini decidono di votare “contropartito” piuttosto che un determinato soggetto o gruppo politico). Si può ben comprendere, dunque, come in mandati di così breve durata non ci sia la possibilità di varare riforme di lungo respiro. A peggiorare la situazione si aggiunge quello che abbiamo definito sopra policentrismo anarchico: l’avere attualmente troppi centri di decisione, cosa che genera spesso enorme disaccordo. Basti pensare, per fare un esempio, alla campagna vaccinale che si è svolta in questi mesi in Italia, nell’ambito della quale ogni regione ha proposto un proprio piano diverso da tutte le altre generando enorme caos prima che il governo centrale intervenisse per ristabilire l’ordine.

Proprio questa situazione ha portato alla creazione di un quarto (dopo quelli di Ciampi, Dini e Monti) governo di unità nazionale che possa mitigare le forti volontà contrastanti dei vari partiti e permettere il passaggio da quella che è stata spesso definita “democrazia incompiuta”, quasi mai decidente, ad un governo che funga da terreno per accordi fra partiti attraverso la legittimazione tra le varie forze politiche in gioco. Figura cardine di questo governo è Mario Draghi, dipinto spesso dalla stampa come un punto di arrivo o un salvatore della patria, ma che in realtà è semplicemente un uomo che cerca di innescare processi positivi come testimonia il ricorrere spesso nei suoi discorsi dei termini umiltà e coraggio. Proprio grazie al suo essere una figura istituzionale unanimemente riconosciuta, l’attuale presidente del consiglio è riuscito a “diluire” in gran parte la volontà dei partiti, anche se tuttora restano comunque alcuni esempi di forti contrapposizioni come quella tra Salvini, che da sempre propugna l’istituzione di una flat tax, e Letta, che invece propone una tassa sulle successioni con lo scopo poi di creare un fondo per i giovani.

Molti sono i temi su cui questo governo di unità nazionale deve legiferare e promuovere riforme. Primo fra tutti è senza dubbio quello del debito pubblico notevolmente accresciutosi nel corso della pandemia. Draghi ha distinto in tal senso un debito buono, la spesa pubblica che genera un circolo virtuoso nel lungo periodo, da uno cattivo, che al contrario non genera nulla. Quel che è certo è che nel tempo questo debito va ridotto e ciò è possibile solo grazie ad una fortissima crescita. In quest’ottica è dunque necessario generare valore eliminando i freni attualmente presenti alla crescita e, quindi, promulgando, ad esempio, una legge efficace sulla concorrenza che possa aumentare l’indice di profittabilità del nostro Paese. Altro tema spinoso è quello della giustizia, campo in cui da 30 anni si assiste allo scontro tra due scuole opposte di pensiero, i giustizionalisti e i garantisti. Sarebbe auspicabile che questo governo riesca a superare il prima possibile questa al momento inutile divisione, in modo da potersi concentrare maggiormente su una riforma che renda la giustizia più efficiente e rapida abbreviando, ad esempio, i tempi di prescrizione. Un occhio di riguardo va dato anche alle infrastrutture, bisogna cioè fare in modo di sfruttare i fondi ottenuti grazie al Recovery Plan per la costruzione di grandi e piccole opere come, per citare alcuni esempi, il collegamento Tirreno-Adriatico e il completamento di alcune tratte stradali tanto nel Nord quanto nel Sud Italia. Ad ostacolare questo progetto non si pone soltanto il dissidio tra la Destra, che vorrebbe prediligere le grandi opere, e la Sinistra, che invece preferirebbe concentrarsi sulle piccole opere, ma anche gli uffici tecnici lenti e senza sufficiente personale a causa di una burocrazia e una pubblica amministrazione a dir poco pachidermica. Il governo dovrà appunto lavorare su questi aspetti legiferando in modo tale da asciugare i tempi d’appalto e snellire le procedure. Altri assets di investimento da non dimenticare sono il Sud, da sempre realtà più arretrata economicamente rispetto al Nord, e. soprattutto la sostenibilità: non bisogna infatti dimenticare che, secondo la legislazione europea, almeno il 37% dei fondi del Recovery Plan va destinato alla cosiddetta transizione e riconversione ambientale.

Quindi, come si è potuto vedere, il Recovery Plan costituisce una vera e propria opportunità di costruire una società futura più prospera e stabile ma perché questo accada c’è bisogno che tutti gli attori politici, siano essi il grande partito all’interno del parlamento o l’ufficio tecnico comunale in un piccolo paesino, si mettano in gioco e siano disposti a rivedere le proprie posizioni donando nuova vita a se stessi e alla nazione.