Perché scriviamo? Raccontare storie per dare forma al proprio vissuto e ai propri pensieri è da sempre un’esigenza umana, ma nel mondo contemporaneo, in cui tutto, comprese le nostre opinioni, sembra essersi ormai digitalizzato, è naturale chiedersi quale ruolo possa ancora ricoprire uno scrittore nella società e quanto l’arte, in tutte le sue forme, possa essere fonte di ispirazione per la collettività. Cosa ci aiuta a distinguere l’arte da ciò che arte non è? Possiamo ancora, rammentando Croce, affermare che l’artista si differenzia dalla gente comune per un “più profondo sentire”? Questi sono i temi intorno a cui è ruotato l’incontro con lo scrittore Sebastiano Mondadori, che ha presentato il suo libro “Di cosa siamo capaci”, edito quest’anno da “La nave di Teseo”, primo ospite del ciclo di incontri con scrittori. L’incontro è stato moderato da due studenti del Collegio, Francesca Bertamè e Daniele Maria Falciglia, che hanno intervistato l’ospite ponendo domande incalzanti.
Il romanzo oscilla tra due periodi che hanno stravolto la fisionomia socio-culturale del nostro Paese: l’arco narrativo si estende dal 1968, l’anno bollente delle rivolte giovanili, al 1994, data di inizio della Seconda Repubblica. Le storie della protagonista Adele e di sua figlia Nina si intersecano e trovano vicendevole corrispondenza, dalle storie d’amore al disincanto politico, all’anticonformismo; ma, come ci ha suggerito la presentazione del professore Mondadori, “il romanzo si impernia sul tradimento”, il quale è presente in tutte le sue pagine, nella storia d’amore si Adele con Bebo e Rudi, che, trovandosi sospesi come in un grande nastro di Möbius, nell’elezione di Adele come europarlamentare della neofondata Forza Italia, sconfessione degli ideali che avevano infiammato la sua gioventù e, in corrispondenza, della figlia. Il romanzo ci offre una rappresentazione dell’afflato politico della gioventù italiana di fine secolo, delle cui aspirazioni rivoluzionarie racconta ascesa e declino, la cui utopica velleità era già ravvisabile nell’invasione sovietica dell’Ungheria del 1956 e il cui inesorabile tramonto coincise con la Primavera di Praga e con la strage di Piazza Fontana a Milano.
Come ha sottolineato lo stesso autore in una delle risposte, i personaggi si trovano immersi in un continuo divenire, la cui tappa esemplificativa è il cambio di casacca di Adele dopo la caduta dell’Urss, culmine della sua maturazione disillusa, consistente nella presa di coscienza dell’inapplicabilità del modello marxista-socialista. La necessità di prendere decisioni importanti, di essere parte integrante della Storia si scontra inevitabilmente con la giovane età, quei vent’anni in cui si hanno molte bugie per la testa. Questa incoscienza giovanile riecheggia continuamente nel testo, come spesso esplicitato: sono passati per avere questa età. Il romanzo è un viaggio spirituale nella mente dei protagonisti: è proprio di qualsiasi prodotto letterario confrontarsi con la necessità di rispettare la verosimiglianza dei fatti senza necessariamente perseguire un intento moralizzatore o applicare un filtro etico, ma, nel contempo, cercare di costruire personaggi debitamente caratterizzati; è una sfida che solo pochi romanzieri contemporanei riescono a vincere. Lo stesso autore ci ha indicato la “malattia mortale” dello scrittore del nostro tempo: non raccontare le storie altrui, ma, in un eccesso di vanagloria, voler ritrovare la propria in tutte; la creatività non risiede nelle esperienze vissute, la cui chiave di interpretazione non può che essere esclusivamente personale, ma nel saper trasporre propri pensieri in affascinanti storie di altri personaggi che, seppur fittizi, iniziano a prendere vita non appena lo scrittore pone la parola fine alla propria opera.
Solo impegnandosi in ciò, nella prospettiva di Mondadori, si riesce a rendere una narrazione una trasmissione di pensiero che l’autore lascia in eredità agli altri affinché ne possano fare tesoro. Il punto focale di un qualsiasi libro è, dunque, “narrare una storia, non la Storia”: difatti, le storie, intese come le vite delle singole persone, hanno un primato ontologico poiché sono capaci di elevare all’eternità il temporaneo, a cui tutti siamo relegati. Non è un’esagerazione pensare che il libro sia effettivamente animato: lo stesso vocabolo “esistenza” deriva dal latino “ex-sisto”, letteralmente “trarre dal nulla”. La letteratura non si fonda su una riaffermazione di ciò che è, ma piuttosto sulla sua negazione. Pertanto, dal momento che il libro esiste e vive, esso interagisce con noi in vari modi, parlando un linguaggio tutto suo e intonando una melodia di cui solo un lettore attento può comprendere il ritmo. Non è un caso che il discorso preferito dell’autore, come ha affermato lo stesso Sebastiano Mondadori, sia il discorso libero, diretto e indiretto: “essi in inglese vengono indicati dall’espressione ‘close writing’, quasi in un avvicinamento del libro al lettore”.
Dalla riflessione sono emerse, anche come risposta alle numerose domande poste, numerose altre osservazioni, che hanno trasceso i limiti stessi della trama del romanzo sfociando in una riflessione sul mestiere dello scrittore nel mondo contemporaneo.