Gravata dai dazi americani imposti dal presidente Trump e scossa dai due conflitti in corso, l’Europa sta affrontando uno dei periodi più difficili della sua storia, durante il quale stanno emergendo tutte le sue debolezze e le sue intrinseche contraddizioni: è stato questo il tema dell’incontro tenutosi presso il Collegio “Lamaro Pozzani” lo scorso 6 maggio con il professore Raffaele Marchetti, professore di Relazioni Internazionali del Dipartimento di Scienze Politiche e della School of Government della LUISS Guido Carli.
Marchetti ha esordito ripercorrendo le tappe fondamentali che hanno portato alla situazione critica attuale. Nel 1989, infatti, quando l’Unione Sovietica si smembrò ponendo fine alla decennale Guerra Fredda, grande entusiasmo si diffuse nel mondo occidentale per la resa obbligata del “nemico storico”: gli Stati Uniti d’America si convinsero che sarebbe bastato poco per esportare anche nei territori ex-sovietici il modello di “democrazia, libertà e benessere”, ormai popolare in tutta l’Europa Occidentale. L’ottimismo atlantico, d’altronde, non era immotivato, in quanto l’adesione della Russia all’allora G8, la sua partecipazione al Consiglio d’Europa e l’entrata della Cina, potenza emergente, nella WTO (World Trade Organization) erano ottimi presagi; i politologi più speranzosi arrivarono persino a fantasticare su una possibile adesione della Russia all’Unione Europea. Negli anni Novanta, in breve, la globalizzazione dei modelli politici ed economici sulla scorta dell’esempio statunitense era una prospettiva, se non reale, quantomeno verosimile.
Il nuovo millennio, tuttavia, presentò scenari inediti che incrinarono l’equilibrio, rappresentati alla perfezione dall’immagine del crollo delle Torri Gemelle: gli USA, l’indiscutibile potenza globale, che non erano più stati aggrediti dal bombardamento di Pearl Harbor, subivano un attacco proprio nel loro cuore, nei loro simboli (un terzo aereo si schiantò infatti contro il Pentagono). Negli stessi anni, inoltre, gli USA si impegnarono nelle guerre contro l’Afghanistan e l’Iraq, che, protrattesi a lungo, sono risultate due sostanziali fallimenti: oggi i Talebani controllano l’Afghanistan e, nonostante l’ISIS abbia perso gran parte del suo territorio, continua a essere una minaccia. Il vero punto di svolta nella storia dell’egemonia statunitense, tuttavia, fu il 2008: anno nel quale, mentre il mondo occidentale viveva una delle crisi economiche più terribili della storia a causa del crollo di Wall Street, la Cina, in piena ascesa, organizzò maestose Olimpiadi e la Russia occupò più di un terzo dei territori della Georgia.
Se prima del 2008, perciò, l’egemonia statunitense era indiscutibile sia nel campo economico sia in quello culturale, dopo quest’anno nero ha iniziato a vacillare, come attestato dalla comparsa nello scenario politico dei paesi occidentali di partiti antigovernativi, che hanno portato ad atteggiamenti euroscettici (sfociati anche in referendum dall’esito clamoroso come quello per la Brexit) e a una profonda spaccatura politica (si pensi alle dure lotte in Francia tra Renaissance e Rassemblement National). L’Europa, conseguentemente, si è indebolita sia economicamente sia politicamente; la NATO, creata per “tenere gli USA dentro, i Tedeschi sotto, e la Russia fuori”, iniziò ad essere messa in discussione.
L’Europa, perciò, si trova oggi in una posizione molto critica, vacillante anche a causa del disinteressamento degli USA alle sue sorti. Il professor Marchetti, tuttavia, ha invitato gli studenti a non limitarsi a considerare la presidenza Trump solo come una sciagura, ma anche come l’opportunità per il vecchio continente per recuperare l’autonomia persa all’indomani del secondo conflitto mondiale. L’Europa, ricomponendosi in una compagine unita e armandosi militarmente, potrebbe sviluppare i suoi punti di forza e ritagliarsi un ruolo da protagonista sullo scacchiere globale. L’Italia, in particolare, economicamente molto affaticata e arretrata rispetto a Germania e Francia, dovrebbe riscoprire le sue potenzialità, ridisegnando la propria idea di se stessa: il Bel Paese, ad esempio, contrariamente a quanto si pensa, è uno Stato “diasporico”, avendo una vasta comunità di emigrati in altre nazioni come il Brasile, gli USA e l’Argentina. Dovrebbe puntare sulla massiccia presenza di suoi cittadini all’estero per esportare e diffondere il made-in-Italy.
Al termine dell’intervento, gli studenti sono intervenuti ponendo domande puntuali. Marchetti ha risposto rimarcando l’importanza del conferimento della cittadinanza anche ai cittadini italiani che vivono all’estero, che così potrebbero continuare a sentirsi partecipi delle sorti dello Stato ed essere ambasciatori di italianità nel mondo. Infine, sollecitato dagli studenti, con la consapevolezza di quanto le previsioni possono essere fallaci, il professore ha individuato nell’India la possibile potenza egemone del domani: forte di una popolazione numerosissima e di un modello facilmente esportabile, il subcontinente indiano ha tutte le carte in regola per divenire un Paese leader del futuro.