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Solomeo e Premio Il Perugino, gli allievi in Umbria tra impresa e umanesimo

01.05.2023

di Paola Iula

Il cielo sulle teste dei collegiali, giovedì 13 aprile, non era quello consueto della capitale, ma aveva il sapore inedito di una cupola incontaminata. Si trattava, non a caso, della volta che sovrasta il polmone d’Italia: l’Umbria. In occasione della VI Edizione della manifestazione Premio Il Perugino – artista e imprenditore, promossa dal Cavaliere del Lavoro Ercole Pietro Pellicanò, i collegiali hanno apposto la loro firma nel libro delle partecipazioni all’evento, con non poco entusiasmo, come d’altronde accade per ogni iniziativa del Cav.  Pellicanò, assiduo frequentatore del nostro Collegio. La sesta edizione del convegno, con lo sfondo del Teatro Collegio di Merito della Sapienza, ha avuto per protagoniste personalità nazionali e internazionali che, richiamando la figura di Pietro Vannucci, detto il Perugino, abbiano manifestato particolari doti di creatività e capacità  realizzatrici, dando un contributo alla esaltazione dei più alti valori, economici e sociali, del Paese.

Pellicanò vive e lavora a Roma, dunque appare curiosa la scelta di istituire il premio proprio a Perugia. Le parole del fondatore, in apertura, ne chiariscono le ragioni: “Dinanzi alla Pala del Perugino, ho compreso che quell’artista, maestro di Raffaello, non aveva ricevuto dalla storia la risonanza che avrebbe meritato, dunque ho deciso di dedicare a lui questo premio”. Ci ha pensato Claudio Strinati, storico dell’arte, a dipingere l’artista come avrebbe fatto lui stesso, dinanzi alla tela bianca di una platea. Anzi, come ha fatto lui stesso: Strinati analizza l’autoritratto lasciato dall’artista nella Sala del Cambio, la “banca più bella del mondo”. “Era l’anno del giubileo – racconta – l’anno della compostezza e del rigore, così il Perugino si raffigurò spettinato e distratto”. Orazio soleva dire ut pictura poesis come nella pittura così nella poesia – ad individuare una certa specularità tra le due forme d’arte: specularità, non  perfetta sovrapposizione, come la relazione tra la mano destra e la mano sinistra. Perché sono così simili ma così diverse? Lo spiega Simonide di Ceo, nel cosiddetto verso fatale: “La pittura è una poesia muta e la poesia una pittura parlante”. Insomma, non sappiamo cosa il Perugino volesse dirci con la sua opera autocelebrativa – nulla è scritto, nulla si legge – ma la tela sembra vibrare di un antico grido di libertà. Sarà la versione silenziosa dell’opera più celebre di Munch? L’associazione è azzardata, ma non forzata. Strinati chiude il suo intervento con poche parole che meriterebbero di macchiare il foglio bianco di una missiva. Il destinatario? La prima fila della platea, dalla porta d’ingresso a quella d’uscita. “Essere associati a Pietro Vannucci è il riconoscimento più prestigioso, poi viene il premio in sé”, questo il corpo della    lettera.

Ne sono stati fregiati Franco Bernabè, Presidente Acciaierie d’Italia, Brunello Cucinelli, Presidente esecutivo della Brunello Cucinelli S.p.A, Enrico Giovannini, Ordinario presso l’Università di Roma “Tor Vergata”, Giovanna Giubbino, direttrice del Segretariato Regionale del Ministero della Cultura per l’Umbria – per la sezione Premio speciale – e Valentino Mercati, Fondatore di Aboca – per la sezione Premio per la carriera.

Il primo a calcare la scena è stato Franco Bernabè, accompagnato dal laudator Gianni Letta, tra le molte cose attualmente presidente di Civita. Letta  ha elogiato Bernabè e Franco – in quest’ordine – il professionista e l’uomo. È curioso che ogni discorso di stampo celebrativo abbia il medesimo ordine: prima si racconta dell’uomo d’acciaio che ha scalato le vette e poi del cuore tenero che pulsa sotto l’armatura. Bernabè è la Margaret Thatcher del settore industriale: ENI, Telecom e PetroChina ne hanno assaporato le competenze e sono ricorse a lui nei momenti di crisi, ma è anche un uomo dai saldi valori che ha trovato nella sua famiglia il più caldo dei rifugi. È proprio il premiato, poco dopo, a rendere omaggio a sua moglie Maria Grazia e ai figli Marco Norberto e Lucia, ricorrendo alla formula “dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”. Dietro, di fianco e addirittura davanti, in realtà. Si dice che l’amore sia il motore  del mondo, chissà se per effetto dell’abreazione o per davvero, e i grandi uomini d’affari che si sono avvicendati sul palco non hanno fatto a meno di ricordarlo, a costo di togliersi di dosso l’armatura inscalfibile disegnata dai laudatores. Lo stesso Pellicanò, mentre elencava tutti i collaboratori, ha chiamato a sé la figlia Giovanna e le ha detto grazie  nella lingua d’amore silenziosa dei padri: con un bacio sulla fronte.

Poco dopo, Brunello Cucinelli, Presidente esecutivo dell’omonima casa di moda, ha portato sul palco la storia della sua azienda e della sua famiglia, unica fase di una miscela omogenea. La Cucinelli dimostra che il connubio lavoro-famiglia funziona eccome -“basta guardare il bilancio del 2022” – dice il laudator Giuliano Amato, Presidente emerito della Corte costituzionale. Amato definisce Cucinelli “un ragazzo che ha visto il cashmere, ha pensato si potesse colorare e ha cambiato il mondo della moda”. Aggiunge poi: “Non ha mai abbassato i costi di produzione, è rimasto in Italia, rifiutando così le pratiche di outsourcing cui ricorrono tante aziende”. Cucinelli risponde alle lodi con un discorso intimistico che si sviluppa dalla volontà di lasciare ai posteri un  mondo migliore di quello che abbiamo ereditato dai padri. “La tecnologia ci ha fornito gli strumenti per sfruttare il creato, ma il progresso ci sta rubando l’anima che il creato stesso ci ha dato”.

Con queste parole l’imprenditore si congeda e lascia la scena al successore, Enrico Giovannini e il laudator Vittorio Colao, Vice- Chairman di EMEA General Atlantic, raccontano di un’amicizia nata e coltivata nei palazzi delle istituzioni. “Durante i Consigli dei ministri, seduti l’uno di fronte all’altro, ci scambiavamo messaggi e anche battute. Il Governo, come tutte le organizzazioni, è fatto di rapporti tra persone”, raccontano. Un intervento che si distingue dagli altri per naturalezza e purezza d’intenti, non di certo vuoto di lodi e dovuti omaggi alla carriera del premiato. ISTAT e OCSE sono solo due delle righe del curriculum di Giovannini, Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili nel governo Draghi e, prima ancora, Ministro del lavoro e delle politiche sociali nel governo Letta. Durante il governo Conte, Colao e Giovannini hanno lavorato alla ripartenza del Paese, nel comitato di esperti – guidato dall’ex CEO di Vodafone – allora noto come “task force per la fase 2”,  per trovare delle risposte ai due principali interrogativi della primavera 2020: “Da dove ripartire? Come rilanciare la provata economia italiana ?”. Con la voce che tradiva nostalgia, Colao racconta che l’amico, ora alle sue spalle e col sorriso imbarazzato sulle labbra, redarguiva i colleghi del Comitato con rara diplomazia, col monito “ottimo, ma ricordiamoci che non siamo al bar tra amici”. Giovannini ha saputo incarnare la figura del primus inter pares, il “capo che sa dare ordini, ma si abbassa a compiere con la truppa i lavori più umili”, così lo descrive Colao.

In chiusura, per l’assegnazione del Premio speciale e del Premio per la carriera, sono stati chiamati sul palco Giovanna Giubbino, direttrice del Segretariato Regionale del Ministero della Cultura per l’Umbria – accompagnata da Strinati – e Valentino Mercati, fondatore di Aboca – seguito da Donatella Tesei, Presidente della Regione Umbria. Giubbino e Mercati raccontano le loro storie di successo che nascono e investono nella regione Umbria, per darle nuovo colore e maggiore   risonanza al livello nazionale. È proprio questo il fine della manifestazione voluta da Ercole Pellicanò e sostenuta da Fondazione Perugia, Poste Italiane e UniCredit: non poteva infatti esserci finale più  calzante.

La manifestazione ha insegnato ai collegiali che il successo è tale solo se condiviso e che “per raggiungere posti di eccellenza – come ricordava Pellicanò rivolgendosi alle file centrali della platea, occupate da noi ragazzi – occorre che voi collegiali veniate a contatto con queste attività imprenditoriali”. Il riferimento del Cavaliere è alla visita della Brunello Cucinelli S.p.A, fulcro della mattinata degli allievi del Lamaro – Pozzani. Dal borgo di Solomeo – ribattezzato Borgo dello Spirito – alla valle pianeggiante, due dipendenti dell’azienda hanno fatto da laudatores a Cucinelli tanto quanto D’Amato durante la consegna del Premio “Il Perugino” all’imprenditore. Il racconto aziendale era chiaro: da un imprenditore illuminato dalla cultura e mosso da nobili valori, nasce il successo. Il potere della Cucinelli non è celebrato solo nelle lodi, ma anche nelle infrastrutture: paradigmi della grandezza monetaria della famiglia sono le opere architettoniche costruire nel Borgo di Solomeo, dal Teatro coi colori preferiti dall’imprenditore alla Biblioteca, prossima all’inaugurazione. Brunello – così i dipendenti chiamavano il Presidente durante la visita guidata – raccoglie il testimone da Tolomeo I e si ispira alla Biblioteca d’Alessandria per dare ai quattrocentomila libri attesi la collocazione più confortevole – magari su mensole rivestite di cashmere beige. L’invito all’inaugurazione – racconta Cucinelli – è stato ricevuto e accettato di buon grado dall’allora premier Mario Draghi.

Di interviste, negli anni, Cucinelli ne ha rilasciate a tonnellate, ma una in particolare è degna di nota. Col giornalista americano di origini indiane Om Malik, scambia due battute che raccontano molto più di una visita guidata in un giorno qualunque di primavera: alla domanda “Da dove proviene l’ispirazione a seguire questo percorso?”, Brunello Cucinelli risponde: “Dagli occhi di mio padre lucidi di lacrime. Quando vivevamo in campagna l’atmosfera, l’ambiente, la vita, tutto era bello. Eravamo semplici agricoltori, niente di speciale. Poi mio padre andò a lavorare in fabbrica. Veniva umiliato e offeso, il suo lavoro era veramente pesante. Non si lamentava della durezza del lavoro o del basso salario che ne ricavava, ma diceva sempre: “Che male ho fatto a Dio per essere umiliato così?”. In pratica, che cos’è la dignità umana? Se lavoriamo insieme e anche con un solo sguardo ti faccio capire che non vali nulla, guardandoti dall’alto in basso, è come se ti stessi uccidendo. Al contrario, se ti rispetto, se ho stima di te, il risultato sarà una tua maggiore responsabilità. Il frutto di questa responsabilità è la creatività, perché qualunque essere umano è portatore di una parte di genio. L’uomo ha bisogno della dignità più di quanto non abbia bisogno del pane”.