articolo pubblicato sul Messaggero del 21 maggio 2022
Pubblichiamo la prefazione al volume “L’Abbazia laica. Giovanni Cavina educatore visionario” (Campisano Editore) dedicato all’ideatore del progetto culturale della Residenza universitaria “Lamaro Pozzani”, fondata nel 1971 dalla Federazione nazionale dei Cavalieri del Lavoro e da lui diretta per un quarto di secolo.
Il libro verrà presentato oggi alle ore 10 dall’Associazione Alumni al Maxxi di Roma, in occasione dei 50 anni di, vita del Collegio universitario dei Cavalieri del lavoro. Con il presidente della Federazione, Cavalier Maurizio Sella, il presidente onorario Alfredo Diana e la presidente delle Attività’ di formazione Linda Orsola Gilli, interverranno sul tema “Crescita e coesione: il Merito è la cura?” il presidente del Censis Giuseppe De Rita, la rettrice della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, Sabina Nuti, il generale Fernando Giancotti (già presidente del Casd, il Centro Altri studi per la Difesa) e Sara Bernardini, laureata del Collegio e docente di Intelligenza artificiale e Robotica al Royal Holloway, College tra i più antichi e prestigiosi dell’Università di Londra. Giuseppe De Rita.
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Gli anni che passano inducono spesso a ricordare le vicende che si sono attraversate, le battaglie culturali che si sono combattute, le persone con cui si è avuto a che fare. Ed altrettanto spesso gli anni tendono a rendere sfumati i ricordi, mentre il presente riprende con forza il sopravvento. Talvolta però nei ricordi affiorano eventi e persone che hanno lasciato tracce che non sfumano nel tempo. È il caso, per me, di Giovanni Cavina e del suo lavoro presso i Cavalieri del lavoro e in particolare presso la loro Residenza universitaria. Mi colpisce ancora, a distanza di decenni, la sua coraggiosa umiltà nel venirmi a cercare in ufficio, nel propormi di fare qualche conferenza nella Residenza, nel chiedermi di poter usare per gli studenti il materiale di ricerca del Censis. Ero molto più giovane di adesso, ed ebbi un piccolo colpo di orgoglio aziendale al pensiero di una domanda di collaborazione che ci veniva da un mondo (i Cavalieri del lavoro) e da un livello culturale (gli studi universitari) che ci avevano in precedenza un po’ snobbati; ma Cavina espresse subito il suo disegno di fondo, coltivando non una alleanza di prestigio fra i nostri due mondi, ma una precisa comune strategia culturale: creare cioè un processo formativo centrato sia sull’assorbimento di materie accademiche, sia sulla realistica conoscenza di quel che avveniva nel Paese.
LE FUNZIONI
Era ben cosciente del fatto che una residenza universitaria è fatalmente prigioniera di due funzioni: da una parte l’approfondimento degli studi curriculari, quasi riproponendo in tempi distesi il tradizionale percorso accademico; dall’altra lo sviluppo di una socializzazione interna, di arricchimento delle relazioni fra i giovani studenti, spesso portatori di antiche solitudini e di moderne reciproche estraneità. Aveva capito subito che il suo compito di ispiratore prima e di direttore poi della Residenza non poteva esaurirsi nel promuovere approfondimenti curriculari e nuova intensa socializzazione. Non si è sentito un gestore della “ripetizione” né un gestore di un gruppo più o meno amicale. A lui interessava formare i suoi giovani a qualcosa di più, ad una capacità sottile di capire i processi economici e sociali in atto; di assorbire le culture non accademiche (da quella giornalistica a quella Censis); di collegare in orizzontale vari campi del sapere e del capire; di vedere il traguardo della propria maturazione nella professionalità di elaborare sintesi concettuali e operative. Se posso usare un termine ambizioso, voleva far capire che il “merito” non era cosa misurabile attraverso i voti disciplinari, ma attraverso una più matura elaborazione degli elementi in giuoco, cioè una capacità di lettura orizzontale, che la antica articolazione per discipline non poteva permettere. La sua ambizione era quella di aiutare i giovani a non essere prigionieri dei propri esami e dei propri libri, voleva che respirassero altro, consapevole che non stava formando specialisti di settore ma esponenti di una nuova classe dirigente. Di fatto trasformò una “residenza” in un “collegio” di respiro alto ed ambizioso.
IL CORAGGIO
Se mi guardo indietro posso con gratitudine constatare che lui ed io abbiamo fatto, anche se a distanza, lo stesso percorso di promozione culturale e sociale (più approccio orizzontale, più valorizzazione delle variabili fuori curriculum, più attenzione ai
concreti fenomeni della evoluzione sociale italiana) ed entrambi in quella “coraggiosa umiltà” che conobbi in lui al nostro primo incontro, ed a cui abbiamo cercato di restare fedeli negli anni, addirittura nei decenni.