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Il Recovery plan e la sfida dell’inclusione sociale. La lezione di Elena Granaglia

Incontri serali | Webinar

28.04.2021

di Giacomo Griseri

Proprio all’indomani della presentazione del piano nazionale di ripresa e resilienza alla Camera dei deputati, presso il Collegio Universitario Lamaro Pozzani si è tenuta la seconda conferenza del ciclo “Recovery plan e il futuro economico dell’Italia”. La relatrice, Elena Granaglia, professore ordinario di Scienze delle Finanze nell’Università di Roma Tre, si è soffermata in particolare su una delle sfide più importanti del piano, quella dell’inclusione sociale.

A causa della crisi dovuta al Covid-19 che ha colpito il nostro paese più di qualunque altro in Europa e delle carenze strutturali della nostra economia evidenziate da molteplici indicatori, l’Italia risulta essere il maggiore beneficiario degli aiuti stanziati dall’Unione Europea. Nel discorso a Montecitorio, Mario Draghi ha presentato i cardini di quella che si prospetta essere la più grande possibilità di rilancio dell’economia italiana, disponendo dell’impressionante cifra complessiva di 248 miliardi di euro nell’arco di 6 anni. Di questi, 192 sono risorse europee del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), 69 dei quali a fondo perduto, 30 costituiscono il Fondo nazionale complementare e gli ulteriori 26 miliardi sono stati stanziati dal governo per la realizzazione di una serie di infrastrutture che necessitano un orizzonte temporale più lungo: il 2032. Il progetto si articola in sei missioni principali ispirate ai tre criteri fondamentali dell’inclusione sociale e territoriale, della digitalizzazione e della transizione verde.

Affinché sia possibile attuare con successo e senza ritardi la vasta gamma di investimenti scelti dal Consiglio dei ministri, non sono tuttavia sufficienti i faraonici prestiti che l’Europa ci assicura, ma risultano imprescindibili alcune riforme strutturali del sistema paese. Tra esse, si distinguono quelle di contesto che interessano la pubblica amministrazione e la giustizia e le cosiddette riforme abilitanti riguardanti le semplificazioni burocratiche, l’antitrust, il fisco e gli ammortizzatori sociali. Proprio quest’ultimo punto è fonte di preoccupazione per la relatrice dell’incontro: nel documento reso pubblico proprio ieri, si delinea un radicale cambiamento nel modello di welfare nel nostro paese che assume un’impronta marcatamente volta alle politiche attive del lavoro. Al fine di rendere il mercato italiano più competitivo a livello internazionale e di conseguenza generare occupazione e crescita è necessario ridurre gli oneri sulle aziende quali il salario minimo, norma presente nelle bozze precedenti ed eliminata in quest’ultima, e almeno in parte allentare le stringenti leggi sui licenziamenti che ingessano il tessuto economico. Questo riduce la tutela sui lavoratori che pertanto andranno necessariamente sostenuti con adeguati ammortizzatori sociali. Tuttavia, oltre ai fondi destinati ai cittadini più vulnerabili, le modalità con cui ciò dovrà avvenire ancora non sono chiare.

La professoressa, nell’analisi del corposo documento, ha inoltre sottolineato l’assenza di considerazioni riguardanti le spese correnti generate da tali investimenti e una diffusa generalità nella descrizione dei progetti. La poca specificità potrebbe essere dovuta ai tempi stringenti in cui il governo ha dovuto redigere il Pnrr e all’impossibilità di una discussione parlamentare. Le scadenze imposte dalla crisi incombente e dall’Unione europea hanno accelerato a tal punto i tempi che le due camere sono state chiamate alla ratifica di un piano modificato il giorno stesso. Se le linee guida sono dunque definite, ai deputati e senatori rimane il compito di definire la vera essenza del Recovery Plan, progetto dopo progetto, e di non perdere le grandi opportunità di una partita senza precedenti in cui sono in gioco “le vite degli italiani, il destino del Paese, la sua credibilità”.