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Accogliere è comprendere: il pluralismo religioso in Italia

22.11.2022

di Alessandro Alberti

Quando ci interfacciamo con gli altri, non dobbiamo commettere l’errore di trascurare l’aspetto spirituale. Questo è il messaggio principale condiviso dal Prefetto in quiescenza Giovanna Maria Iurato, ex Direttore Centrale degli Affari dei Culti presso il Ministero dell’Interno, nel corso del secondo incontro del ciclo di seminari  del Collegio Lamaro – Pozzani “Immigrazione, diritto di asilo e accoglienza nel mondo contemporaneo”, dedicato al tema del pluralismo religioso.

Prefiggendosi di non interpretare quella dell’immigrazione come questione esclusivamente o eminentemente di ordine pubblico, ma di intenderla come possibilità di condivisione, consci soprattutto della dignità individuale del prossimo, Iurato mostra i dati relativi al pluralismo religioso in Italia. I numeri sono sorprendenti: 2 milioni i musulmani, anche se va sottolineata la frammentazione interna dell’Islam; 1,7 milioni di ortodossi, arrivati per la maggior parte dalla Romania negli ultimi 20 anni; 700 mila gli evangelici, di cui 350 mila provenienti dall’estero, per i quali l’integrazione è particolarmente difficile, a causa delle differenti abitudini nel professare la propria fede, specialmente nella celebrazione dei riti. Particolarmente delicato è il caso dei Sikh, presenti in circa 75 mila: con 15 mila di loro, tuttavia, è stato possibile intraprendere un percorso che ha permesso di accordare certi aspetti della loro religione all’ordinamento giuridico italiano, come nel caso del Kirpan, il pugnale indossato dagli uomini Sikh, approvato in una dimensione adeguata ma non privo del valore simbolico che riveste all’interno del sikhismo.

Questi dati permettono di riflettere su un punto centrale. I tre commi dell’articolo 8 della nostra Costituzione prevedono la laicità inclusiva, e Iurato conferma l’impegno profuso in questa direzione, favorendo l’integrazione attraverso le leggi d’intesa con le confessioni religiose o altri processi, come il riconoscimento giuridico di ente di culto.

Non sempre però lo stato è stato solerte nel venire incontro alle esigenze delle varie confessioni religiose: a fronte ad esempio dell’enorme numero di musulmani (oltre il 30% dei residenti stranieri), sono solo 50 i luoghi di sepoltura a loro riservati, come Iurato scopre a marzo 2020, quando l’emergenza Covid rende evidente questa carenza.

Iurato spiega che parte importante del suo lavoro da Direttore Centrale degli Affari dei Culti consisteva nello stabilire che cosa fosse una religione. Con due esempi ha chiarito in quali casi una comunità non possa rientrare nel novero degli enti di culto. Nel caso di Scientology siamo di fronte ad una setta, e il discrimine è il condizionamento psicologico cui gli adepti sono sottoposti per convincerli a versare ingenti somme alla comunità stessa, mentre nel caso dei Pastafariani è difficile parlare di religione: al più, suggerisce, casi simili possono essere indicati come fenomeno culturale, non di culto.

Nonostante la complessità dell’argomento, Iurato ha efficacemente esposto i punti salienti, adottando una prospettiva interdisciplinare, ad esempio con un interessante approfondimento sugli edifici di culto disseminati per l’Italia, talora autentici capolavori di architettura.